PENSIONI: EQUIVOCI E FANDONIE
Dopo memorandum e accordi più o meno segreti tra sindacati e governo sulla questione pensioni ed impegni che andavano definiti e conclusi entro marzo, stiamo arrivando rapidamente alla necessità di porre fine ad una vicenda molto discutibile, per il bene della politica, ma anche per la credibilità del sindacato.
Il nodo da sciogliere è quell'impegno, troppo sbandierato in campagna elettorale, di eliminare l'iniquo scalone Maroni (dal 2008 per andare in pensione ci vorranno 35 anni di contributi e 60 anni di età): un salto rispetto all'attuale sistema (35 e 57) che, a detta dell'estensore della riforma, farebbe risparmiare al sistema previdenziale e allo Stato alcuni miliardi di euro.
Vinte le elezioni, l'attuale governo ha cercato di evitare di affrontare questo specifico impegno elettorale, concordando con il sindacato, in un' azione congiunta a tutto campo, una nuova riforma delle pensioni.
Rimettendo tutto in discussione, probabilmente si voleva arrivare a lasciare lo status quo o a mascherare, con cambiamenti minimi, ciò che non si era in grado di cambiare realmente.
L'assenso del sindacato è stato ottenuto facilmente con la garanzia di far partire la previdenza integrativa in tutto il pubblico impiego: un affare colossale in cui lo stesso sindacato avrà un ruolo da protagonista.
Dentro questa ipotetica nuova riforma è stato fatto entrare di tutto: da nuovi ammortizzatori sociali per i giovani lavoratori e i precari, agli incrementi delle pensioni minime, all'innalzamento dell'età pensionabile, alla riduzione dei coefficienti di rivalutazione e al passaggio al contributivo per tutti.
La confusione generata e le tensioni hanno contribuito ad alimentare disinformazione e timori. Mentre il vero nodo dello scalone Maroni perdeva risalto rischiando di non essere toccato affatto.
Tutto il progetto riformatore doveva addirittura, secondo un rigidissimo impegno temporale, concludersi entro il 31 marzo 2007.
A gennaio è iniziato un confronto serrato che ha visto politici e sindacalisti impegnatissimi, in confronti pubblici più o meno inutili, a dare le ragioni delle loro scelte, con tardive e ridicole smentite da parte di alcuni protagonisti del memorandum sottoscritto a settembre; a sostegno delle posizioni di ognuno non sono mancati i più incredibili equivoci:
1° equivoco. Bisogna fare ora la riforma delle pensioni come patto di solidarietà fra generazioni per garantire le pensioni ai giovani, futuri lavoratori.
Ci dicono, cioè, che bisogna fare ora una riforma che consenta di spendere meno perché così ci saranno più soldi nel futuro per coloro che andranno in pensione fra 20 - 30 anni.
Niente di più falso: l'attuale sistema non è ad accumulazione (la percentuale di contributivo è ancora modesta), sono i contributi versati dai lavoratori attuali a pagare le pensioni.
Non solo, la contribuzione previdenziale attualmente serve a garantire le pensioni sociali (di coloro che non hanno una propria contribuzione) e a sostenere un largo sistema di ammortizzatori sociali.
Praticamente i lavoratori, quando versano i contributi previdenziali, mettono a disposizione dello Stato una quota di risorse che serve ad alimentare la solidarietà sociale.
Se e quando si riuscisse a scaricare, come sarebbe giusto, i costi delle garanzie sociali sulla fiscalità generale, quindi a carico dello Stato, piuttosto che sulla contribuzione previdenziale dei lavoratori, avremmo un sistema previdenziale perfettamente in equilibrio per i prossimi 30 anni.
La riduzione della spesa pensionistica ora non servirebbe ad accantonare risorse per il futuro, ma a liberare risorse da mettere a disposizione della politica! Per il futuro e per i giovani lo Stato e i sindacati ci hanno già pensato con la riforma Dini che ha introdotto per loro il sistema contributivo (ogni lavoratore riceverà di pensione solo quanto versato di contributi nel corso della carriera lavorativa, con adeguamenti modesti, legati a coefficienti non particolarmente favorevoli e che si vorrebbe ulteriormente abbattere).
2° equivoco. Il futuro pensionistico dei nostri giovani dipende dall'attuale sistema e dai suoi squilibri.
In realtà il futuro previdenziale è strettamente connesso al mondo del lavoro, alla crescita economica e sociale, al sistema dei contratti e alle garanzie in essi contenute.
Nel passato recente, per effetto di scelte inaccettabili sul mercato del lavoro: tipologie contrattuali, eliminazione di garanzie relative al rapporto di lavoro, assenza, sempre più diffusa, di tutele previdenziali, e, soprattutto, crescita di un precariato endemico, la prospettiva dei giovani lavoratori e futuri pensionati sono divenute drammatiche.
Ci sono settori, come la scuola, che assorbono una quantità enorme di disoccupazione intellettuale, dove ormai entrano precari storici di 40-50 anni con alle spalle anni ed anni di precariato, quindi con una contribuzione previdenziale discontinua e sempre ai livelli minimi.
Per questi dipendenti, come per altri, le pensioni che verranno maturate in futuro saranno determinate dai lunghi periodi di attesa del lavoro non coperti da contribuzione dopo la formazione; dai lunghi periodi di precariato, con contribuzione intermittente; dal sistema di calcolo contributivo, con coefficienti di rivalutazione sfavorevoli; infine dall'impossibilità materiale di raggiungere il massimo della carriera retributiva (se si comincia a lavorare a 45-50 anni, si potranno accumulare al massimo 25-30 anni di contribuzione). Per costoro le prospettive pensionistiche, mostrano scenari da indigenza.
3° equivoco. E’ necessario alzare l'età pensionabile per spendere meno visto che i lavoratori vivono di più, e consentire a questi stessi lavoratori di mantenersi attivi più a lungo.
Ma come tutti hanno compreso si tratta di una scelta che ha ben poco riscontro con la realtà, il principio infatti non è generalizzabile, dipende dalle condizioni psico-fisiche di ogni lavoratore ed esse possono essere molto diverse. Non a caso infatti si è aperto immediatamente il capitolo dei lavori usuranti, le condizioni fisiche e psicologiche di un lavoratore dopo 35 anni possono essere molto diverse a seconda del lavoro svolto, delle condizioni in cui è stato svolto, delle energie spese, del logoramento subìto.
Rendere oggettivo e serio l'approccio al problema della differenziazione sul piano lavorativo e quindi decidere il maggiore o minore diritto di andare in pensione prima o dopo è parso subito estremamente difficile.
Le ideologie sono scese immediatamente in campo: quelle "antintellettuali" di una certa sinistra con i complessi di colpa verso una classe operaia sempre più tradita, e quelle di parte industriale da sempre ostili al lavoro pubblico considerato da loro luogo di inefficienza e di privilegio. Ideologie contrapposte ma con il medesimo obiettivo discriminare i lavoratori, secondo criteri funzionali ai propri interessi.
La questione poteva trovare soluzione nel principio della volontarietà incentivata: ogni lavoratore decide se restare in cambio di qualche forma di incentivo.
Ma è necessario tenere presente che anche la scelta di innalzare l'età pensionabile su base volontaria non è innocua e comporta problemi.
L'innalzamento dell'età pensionabile ritarderà, nei fatti, ulteriormente l'ingresso nel mondo del lavoro delle generazioni più giovani, ciò alla lunga rappresenterà un danno sociale enormemente più grande del piccolo beneficio immediato.
4° equivoco. La previdenza integrativa (la terza gamba del sistema previdenziale) risolverà i problemi delle pensioni ridotte nei prossimi decenni.
Niente di più falso, così come attualmente paiono organizzati i fondi previdenziali non garantiscono nemmeno il recupero del capitale versato (fondi pubblici), le variabili in gioco introdotte per evitare che i fondi possano entrare in perdita sono molteplici, alcune delle quali (come l'andamento del PIL) non dipendono certamente dalle capacità di investimento delle società di gestione.
Si può ipotizzare fin d'ora che, con l'assestarsi del sistema della previdenza integrativa, burocrazia e spese di mantenimento degli organi politici di controllo e gestione (Consigli di Amministrazione) di nomina sindacale diretta o indiretta tenderanno a crescere a discapito dei rendimenti per gli associati.
Le possibilità per gli iscritti di arrivare a sistemi autentici di controllo e di verifica sono di fatto interdetti: i meccanismi elettorali inventati sono fatti in modo da consentire l'accesso ai livelli di controllo solo ai gruppi fortemente organizzati e diffusi sul territorio nazionale (sindacati).
Se invece ci si rivolge al privato i rendimenti sono sicuramente maggiori, ma i rischi enormemente più alti. Costi di gestione, profitti e rischi di investimento possono costituire il vero problema.
Quello che appare evidente è che nel nostro paese continuiamo a fare scelte in materia di garanzie sociali che tendono a disimpegnare economicamente lo Stato il quale progressivamente si ritira da Scuola, Sanità, Pensioni, baluardi della nostra civiltà collettiva e garanzia di equità sociale, per affidare al privato (vero e finto) gran parte di questi sistemi.
Eppure l'Europa ed altri paesi ad economia avanzata stanno riscoprendo il Welfare non solo come strumento di tutela dei cittadini, ma addirittura come fattore di crescita e di sviluppo.
Queste scelte non hanno portato finora vantaggi (le tasse, al di là delle chiacchiere, sono mediamente le stesse e a pagarle le medesime categorie), ma il sistema di garanzie sociali si è enormemente indebolito, in pratica lo Stato spende lo stesso una grande quantità di denaro che ricava da un sistema di tassazione iniquo, ma spende sempre di meno nelle tutele sociali e nelle protezioni per tutti.
Le risorse in realtà le sperpera la politica con costi sempre più alti, sono quasi 180 mila gli eletti, (dai parlamentari nazionali ai rappresentati di quartiere). Il costo della rappresentanza politica nel suo complesso in Italia è pari a quello di Francia, Germania, Regno Unito e Spagna messi insieme: vicino ai 4 miliardi di euro.
Ma il problema maggiore forse non sta nemmeno nei costi della politica, ciò che pesa di più è soprattutto la sua inefficienza, l' incapacità di questa stessa politica di essere al servizio della crescita civile, culturale ed economica del nostro Paese, la sua incapacità di contrastare l'evasione fiscale e il degrado sociale di ampie aree del paese, l'incapacità di investire nella scuola, nell'università, nella ricerca, la sua incapacità di costruire prospettive per tutti, di dare futuro.
Per questo sono tanto più iniqui e inaccettabili gli interventi sulle pensioni: togliere a chi lavora la piccola certezza di una modesta pensione per una dignitosa vecchiaia è indegno di un paese civile.
CINQUE PROPOSTE
E' necessario realizzare provvedimenti che agiscano sul futuro dei lavoratori e che contribuiscano ad eliminare gli elementi di debolezza strutturale nel sistema di tutela previdenziale agendo per:
- Eliminare il precariato e le condizioni politiche che lo determinano;
- Consentire la carriera retributiva anche ai contratti a tempo determinato;
- Coprire con contribuzione i periodi di interruzione lavorativa;
- Accelerare la carriera retributiva di tutti i lavoratori consentendo di arrivare al massimo stipendiale in un numero minore di anni;
- Spostare sulla fiscalità generale le spese relative alle garanzie sociali;
Cinque provvedimenti di crescita civile alla portata di Governo e Sindacati. Cinque cambiamenti possibili subito.
Alessandro Ameli