La solita confusione tra “insegnamento facoltativo” e “scelta facoltativa” e la monotona contestazione di aver tolto una parte degli insegnanti di religione dalla condizione di precarietà

La solita confusione tra “insegnamento facoltativo” e “scelta facoltativa” e la monotona contestazione di aver tolto una parte degli insegnanti di religione dalla condizione di precarietà

E’ uscito in questi giorni il libro <La fabbrica degli ignoranti.  La disfatta della scuola>, edito dalla Rizzoli e proposto da Giovanni Floris. Un libro-inchiesta sui mali della scuola e dell'Università italiane. Floris non risparmia fatti, numeri e situazioni allucinanti, come si sottolinea nella prefazione “Dall'asilo di Napoli che non apre perché mancano i bidelli fino all'istituto friulano che ogni anno cambia l'intero corpo docente (precario). Un libro di denuncia e insieme un atto d'amore verso una scuola di nobile tradizione, piombata in un Medioevo di strutture fatiscenti e insegnanti girovaghi come braccianti. Di fronte al declino della convivenza civile, della vita politica, dell'innovazione culturale, è ora che torniamo tutti sui banchi”. Nella sua analisi Floris (alle pagine 79-80) affronta anche il tema dell’insegnamento della religione cattolica e degli insegnanti di religione, e con un tono un po’ polemico. Il segretario nazionale dello Snadir, risponde, con estrema lucidità e competenza.

   Egregio dottor Floris,
la sua pregevole inchiesta sulla scuola italiana pubblicata nel volume “La fabbrica degli ignoranti” offre una serie di interessanti riflessioni per iniziare un serio confronto per cambiare in modo radicale la scuola italiana.
   In particolare, sono idee pienamente condivisibili, quanto Lei riporta nel Suo libro “studiare, conoscere, imparare serve a vivere meglio” e, citando Antiseri “E’ importante studiare e uscire da scuola con un patrimonio di idee che ci permettono di leggere e capire il mondo”. Aggiungiamo: noi vogliamo che tutti gli studenti abbiano il dominio sulla parola. “La parola è la chiave fatata che apre ogni porta” (Don Milani) e soltanto quando tutti e ogni singolo studente sapranno dominare la realtà attraverso i linguaggi offerti dal sapere ci sarà vera parità.
   E’ chiaro, allora, che – come Lei afferma a pagina 135 – “bisogna avere a disposizione più strumenti, essere ricchi di sapere, in modo da aumentare la possibilità di vivere bene”. “E’ bene quindi sgomberare il campo dal luogo comune che considera alcune materie più importanti di altre o che, peggio ancora, ne condanna alcune come inutili”. Ora è altrettanto chiaro che le religioni, oltre al loro fondamentale aspetto di riferirsi ad una Realtà Trascendente, nelle loro espressioni storiche hanno lasciato un affascinante segno di presenza nelle loro culture. Pertanto, anche chi rifiuta che Dio esiste non può fare a meno di riconoscere che il linguaggio religioso ha un suo significato ed è legittimo linguaggio dell’esperienza umana (si veda L. Wittgenstein, Ricerche filosofiche).
   Ancora una volta riporto l’interessante riflessione di Abraham B. Yehoshua: "… non posso voltare la schiena alla religione, perché essa è anche all'origine della mia cultura. Così anche se non credo in Dio, la sua presenza nella mente di moltissimi esseri umani mi riguarda e mi interessa. Non possiamo semplicemente cestinare la religione. Piuttosto, dobbiamo estrapolare e prelevare dalla religione gli elementi costitutivi della nostra civiltà, della nostra cultura: altrimenti ci ritroveremo privi di storia, e saremo preda di una serie di miti che ci domineranno e ci rinchiuderanno in un circolo chiuso, vizioso e terribile" (Il cuore del mondo, pag.19).
   E’ abbastanza evidente che i “principi del Cattolicesimo” sono iscritti nelle categorie storico-culturali-etiche del popolo italiano. Quale svantaggio, allora, per uno studente avere uno strumento disciplinare per meglio comprendere “noi stessi e l’esistente”? E’ un diritto dello studente, cittadino italiano, incontrare nel suo percorso di formazione una disciplina scolastica non meno importante della filosofia e della scienza, che è la religione.
   La Sua affermazione, riprendendo pari pari la “spiegazione” di Curzio Maltese, che “l’ora di religione è un insegnamento facoltativo e come tale non dovrebbe avere docenti di ruolo” ci riporta alla solita confusione tra “insegnamento facoltativo” e “scelta facoltativa” e, addirittura, alla contestazione di aver tolto una parte (il 62 %) degli insegnanti di religione dalla condizione di precarietà.
   Per essere chiari: lo Stato assicura l’insegnamento della religione, mentre le famiglie e gli studenti scelgono o no tale insegnamento. Se, come Lei afferma alle pagg. 228/235 del Suo libro, per condurre la scuola verso la strada dell’eccellenza occorre restituire “ai genitori la possibilità di scegliere la sezione in cui iscrivere i propri figli” e, quindi in questo modo, scegliere il professore bravo, allora è necessario riflettere sul fatto che il 92% delle famiglie e degli studenti sceglie l’insegnamento della religione cattolica. Insomma famiglie e studenti ritengono utile avere uno strumento in più, non solo per “essere ricchi di sapere”, ma in particolare per “aumentare le possibilità di vivere bene”. Inoltre, se applichiamo il Suo ragionamento sopra riportato ai docenti di religione, questi sono senza nulla togliere agli altri docenti, professori bravi.
   E’ bene inoltre precisare che l’assunzione a tempo indeterminato dei docenti di religione è avvenuta certamente da un atto d’intesa tra il dirigente scolastico dell’ufficio regionale e l’ordinario diocesano, ma è altrettanto vero che tale nomina è soltanto l’ultimo atto procedurale di una attività di esclusiva competenza dell’Amministrazione scolastica: cioè di un concorso per titoli e servizi espletato secondo il sistema di reclutamento degli altri docenti della scuola italiana.
   Il fatto che, poi, nell’eventualità della revoca il docente di religione sia “destinato ad altra cattedra”, è un merito del Parlamento aver previsto e reso norma il riutilizzo di una importante risorsa umana. Se il docente, oltre ad avere ovviamente un titolo per insegnare religione (titolo di livello universitario), ha un ulteriore laurea civile e anche una abilitazione per altre materie, perché lo Stato non dovrebbe utilizzare questa professionalità?
   Un ultimo chiarimento. I docenti di religione non “guadagnano già dal primo giorno di lavoro il 10 per cento in più di un collega di altre materie”, ma soltanto dopo almeno cinque anni di servizio hanno un inquadramento economico in base alle fasce stipendiali previste dal contratto collettivo di lavoro per il comparto scuola.
   Fra l’altro su questa questione il nostro Sindacato ha sempre affermato che sarebbe giusto che i benefici economici dei docenti di religione venissero estesi anche agli altri docenti precari della scuola italiana.
Per chiudere Le segnalo un errore, anzi penso che sia un refuso: a pag. 64 è scritto che tra le 80 ore ci sono anche quelle da destinare alle operazioni di scrutinio. Ai sensi dell’art. 29 del CCNL 29/11/2007 le ore per gli scrutini sono da escludere dal conteggio delle 80 ore (per essere esatti 40 + 40): sono straordinario obbligatorio e senza retribuzione.
   RingraziandoLa per l’opportunità, la saluto con molta cordialità.

                                         Prof. Orazio Ruscica
                                    Segretario Nazionale SNADIR

Snadir - martedì 30 settembre 2008

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