Meno polemiche, più concretezza

In questi giorni di polemica contro la presunta ingiustificata presenza degli insegnanti di religione cattolica nelle Commissioni d’esame per la terza media, leggiamo su MicroMega un nuovo articolo ai danni dell’ora di religione, firmato da Anna Angelucci, presidente dell’Associazione Nazionale Per la Scuola della Repubblica.

 
Arriva alla nostra corte l’ennesimo paladino della laicità dello Stato, condannando quello che definisce “un attacco inaccettabile alla scuola pubblica” e “un ostacolo all’esercizio di una cittadinanza libera e consapevole”, e sparando a zero non solo sull’ora di religione tout court, ma soprattutto sulla professionalità dei suoi insegnanti, rei di godere di “innumerevoli benefici e privilegi di ordine giuridico e amministrativo”.
 
Mettendo un attimo da parte la scarsa considerazione che la giornalista riserva indegnamente a un’intera categoria di docenti, senza peraltro giustificare in alcun modo le sue affermazioni, ci teniamo a ricordare che l’insegnamento della religione trova spazio nella scuola per via un riconoscimento oggettivo da parte dello Stato, che lo considera portatore di grande forza educativa, nonché di contenuti culturali e formativi della persona, al pari delle altre discipline.
 
Non si tratta di un’ora di catechesi, né di un’opera di indottrinamento ai danni delle giovani menti che popolano le nostre scuole. Quello che l’ora di religione si propone di essere all’interno della scuola italiana è piuttosto uno spazio di formazione culturale indispensabile per cogliere aspetti fondamentali della vita e delle tradizioni del nostro Paese e della nostra società.
 
Nessun “baldo giovanotto interessato esclusivamente a Bibbia, Vangeli autorizzati e vita vera di Cristo e degli apostoli”, quindi, ma docenti con un solido percorso di studio di livello universitario e post universitario, quindi formati, preparati e attenti alle vite e alle storie dei nostri studenti e attaccati a un’idea di scuola basata sulla centralità della conoscenza e del sapere costruiti a partire dalle pratiche di collaborazione, corresponsabilità, dialogo e rispetto reciproco. 
 
Se veramente l’articolista volesse impegnarsi in una “battaglia di civiltà e di buon senso”, che si faccia avanti per condannare, non l’ora di religione, ma quel sistema burocratico e intransigente che ha dimenticato i principi e i modelli su cui dovrebbe costruirsi l’istruzione scolastica, mettendo da parte l’importanza delle competenze costitutive del capitale umano di ogni studente.
Che si indigni nei confronti di quei sistemi di misurazione standardizzati che non fanno altro che appiattire gli animi e le velleità dei nostri studenti.
Che si opponga alla totale mancanza nelle scuole di una varietà di approcci culturali, didattici, organizzativi e gestionali.
 
Ma che non ci venga a dire che siamo noi il cancro di questo sistema che ha smesso di funzionare. Che ha dimenticato prima di tutto l’uomo, la sua storia e la sua sete di conoscenza, anche spirituale. Non ci venga a parlare di “discriminazione”, perché la vera discriminazione nasce dall’ignoranza, dal silenzio, dall’evitare a tutti i costi certi discorsi e certe tematiche.
In una società che è un “melting pot” (mescolamento) di etnie, culture e tradizioni che dovrebbero rappresentare una ricchezza, non si possono mettere da parte il dialogo e il confronto.
 
La scuola deve tornare ad essere uno dei contesti privilegiati, insieme a quello famigliare, dove bambini e ragazzi costruiscono ed esprimono la propria identità. Non si tratta di formare “automi” istruiti o pappagalli che sappiano ben ripetere la lezione, ma di incoraggiare le abilità di pensiero, di conoscenza e di responsabilità di quelli che saranno i cittadini di domani.
E questo non può accadere, se la scuola diventa uno spazio per l’apprendimento preimpostato, che preveda un’alfabetizzazione solo formale e non sostanziale, ignorando il bisogno di significato dei nostri studenti, le loro domande scomode, i loro grandi interrogativi sulla complessità del reale.
 
Non a caso, l’UNESCO afferma che «Nessun sistema educativo può permettersi di ignorare il ruolo della religione e della storia nella formazione della società».
 
Orazio Ruscica
 
 
 
 
Snadir – Professione i.r. 23 maggio 2018, h.14,07
 
 
 
 
;