Soltanto salari più equi limiteranno i danni del capitalismo. No ad un sistema economico iniquo e senza volto umano

Soltanto salari più equi limiteranno i danni del capitalismo

No ad un sistema economico iniquo e senza volto umano
 
 
E’ di qualche giorno fa la notizia che la svedese Electrolux  avrebbe  chiesto un taglio nella misura del 43% degli stipendi dei lavoratori nei quattro stabilimenti italiani (Solario, Forlì, Susegana e Porcia): da 1.400 euro a 800 euro mensili.
A questa si è aggiunta anche la brillante idea della Fiat di pagare le tasse a Londra, dopo che per circa trent’anni  i cittadini italiani hanno dovuto sostenerla diverse volte.
Il ricatto dell’Electrolux (nel momento in cui scriviamo sembrerebbe profilarsi un ripensamento) che costringe ad accettare un misero stipendio a fronte delle stesse ore lavorative, minacciando – in caso contrario -  di trasferire gli stabilimenti in Polonia oppure in Ungheria, pone sul tappeto il solito tema del costo del lavoro che in Italia è abbastanza alto. Ma è davvero così? I dati di Eurostat [1], dell’OCSE[2], dell’Ameco[3] parlano chiaro.
Nel 2012 il costo del lavoro è stato in Francia del 50,224%, in Germania del 49,75%, in Polonia del 35,455%, in Ungheria del 49,425% e in Italia del 47,605%. La retribuzione oraria lorda nei predetti Paesi si è così attestata: 13,74 euro in Francia, 15,39 euro in Germania, 3,95 euro in Polonia, 3,44 euro in Ungheria e 11, 87 euro in Italia. Queste retribuzioni orarie, comprensive del costo del lavoro, sono costate: in Francia 34,90 euro, in Germania 31,00 euro, in Polonia 7,20, in Ungheria 7,90 e in Italia 27,30 euro.
Da ciò si evince che l’incremento percentuale tra la retribuzione oraria lorda di tutti i dipendenti e il costo orario per le imprese è del 154% in Francia, del 101% in Germania, dell’82,3% in Polonia, del 129,7% in Ungheria e del 129% in Italia.
E’ del tutto evidente che il problema per l’Electrolux, come per tutte le aziende che hanno scelto o hanno intenzione di scegliere di abbandonare i lavoratori italiani, non è tanto il costo del lavoro, ma la retribuzione più o meno dignitosa dei lavoratori italiani, francesi e tedeschi, rispetto al misero e sottopagato stipendio dei lavoratori polacchi ed ungheresi.
E’ bene, quindi, che sia chiaro a tutti che l’intenzione di coloro che vogliono riformare il mercato del lavoro è quella di attribuire ai lavoratori minori diritti e un minor salario. Se ricordo bene Karl Marx ha affermato che il capitalismo comprime il potere d’acquisto del salario dei lavoratori dipendenti. Ed è ovvio che tale diminuzione del salario comporta una diminuzione dei consumi. Se lo stipendio medio lordo dei dipendenti italiani (stipendio nominale) di 28.000 euro annuo circa viene rapportato all’indice dei prezzi (1,129% del 2011), ridetermina il suo valore nella misura di 25.600 euro circa (salario reale); quindi le famiglie hanno avuto nel 2011 un salario reale  - ridotto -  di 3.500 euro circa.
Non consola l’affermazione che anche in Francia e Germania il poter d’acquisto del salario incomincia a diminuire, perché in entrambe queste Nazioni il salario nominale è molto più alto che in Italia; in Germania si attesta sui 41.000 euro e in Francia oltre i 36.000 euro annui. Bisognerebbe quindi rimettere sugli stessi blocchi di partenza tutti i lavoratori dell’eurozona, cioè operare con equità, equiparando  il salario ai livelli di Danimarca, Germania, Austria, Svezia, Francia. Certamente è una proposta che nessun Governo accetterà di concretizzare, ma è altrettanto vero che continuare a comprimere il potere d’acquisto dei salari dei lavoratori è una mossa stupida da parte dei capitalisti: l’edonismo reaganiano, basato sulla vecchia idea che il benessere dei capitalisti si ripercuote positivamente sui lavoratori, ha dimostrato di essere  perdente. Papa Francesco ha bollato questa teoria della “ricaduta favorevole” come una “opinione, che non è mai stata confermata dai fatti”e che “esprime una fiducia grossolana e ingenua nella bontà di coloro che detengono il potere economico e nei meccanismi sacralizzati del sistema economico imperante”[4]. Una economia che, nell’adorazione dell’antico vitello d’oro (Es. 32,1-35), “ha trovato una nuova e spietata versione nel feticismo del denaro e nella dittatura di una economia senza volto e senza uno scopo veramente umano”[5].
Occorre, invece, creare un benessere diffuso dove “il denaro deve servire e non governare”[6], un potere salariale ben distribuito, dove il divario medio tra l’amministratore delegato (ad es. della Fiat) e   quello del lavoratore dipendente non sia di 600 a 1, ma al massimo di 6 a 1.
Inoltre, una vera ed efficace lotta alla corruzione, come indicato dalla Commissione europea (Relazione dell’Unione sulla lotta alla corruzione, Bruxelles, 3.2.2014), potrebbe far recuperare alla nostra Repubblica circa 60 miliardi di euro, cioè il 4% del PIL (Prodotto Interno Lordo): si risparmierebbero circa 2,7 miliardi di euro di interessi sul debito pubblico  e questo permetterebbe a tutti i cittadini di vivere una vita dignitosa, senza timori per il futuro economico dei propri familiari.
 
Orazio Ruscica
 
 

 

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