Il Governo Renzi e l’abolizione dell’articolo 18: dal 2015 ritorno al passato! Anche il personale della scuola rischia il licenziamento

Il Governo Renzi e l’abolizione dell’articolo 18: dal 2015 ritorno al passato!

Anche il personale della scuola rischia il licenziamento
 
 
 
L’ultima volta che il governo italiano ha cambiato l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori è stata nel giugno del 2012. In quell’occasione fu possibile arginare il tentativo di “licenziare facilmente” con una formula che teneva insieme il “fatto materiale” del licenziamento e la sussistenza o meno delle ragioni giustificatrici dello stesso. Inoltre, il Giudice valutava la proporzione o sproporzione del licenziamento rispetto al “fatto materiale”. Ad esempio: se il licenziamento era stato effettuato a causa di una assenza ingiustificata, il Giudice giustamente annullava il licenziamento e condannava il datore di lavoro al reintegro. Tale decisione era motivata dal fatto che un’assenza ingiustificata del dipendente nell’arco di un bienniorientra tra le condotte sanzionabili previste dai contratti collettivi di lavoro e punibili - ad esempio per i docenti - con il recupero di 1/30 della retribuzione mensile e una sospensione dal servizio non superiore a 10 giorni.
Il nuovo testo dell’articolo 18 approvato dal Consiglio dei Ministri il 24 dicembre scorso ha tolto al Giudice la valutazione della sproporzione tra il “fatto materiale” e il licenziamento. Inoltre, a seguito della precisazione introdotta dal governo (cioè  che occorre dimostrare l’insussistenza del “fatto materiale”, ad esempio l’insussistenza dell’assenza ingiustificata), si è realizzata la riforma della Fornero, che – ricordiamo – auspicava l’eliminazione della disoccupazione introducendo la possibilità di licenziare con grande facilità.
Ebbene, questo governo ha di fatto introdotto la possibilità di licenziare anche con un solo giorno di assenza ingiustificata.
Inoltre, l’attuale esecutivo ha abolito il reintegro dei licenziamenti per motivi economici (= giustificato motivo oggettivo, cioè proveniente da ragioni inerenti l’attività produttiva, l’organizzazione del lavoro e il suo regolare funzionamento). Tale abolizione riguarderà, quindi, anche le aziende con oltre i 15 dipendenti e cioè il 2,4% delle aziende, ma è bene precisare che in questo 2,4%  rientra il 57,6% dei dipendenti del settore privato dell’industria e servizi, cioè quasi 6.507.000 di lavoratori a tempo indeterminato. Quindi adesso, oltre ai 3.529.312 a cui non si applicava il reintegro dell’articolo 18, si aggiungeranno i 6.507.000 dipendenti  a cui sarà negata la possibilità di verificare se nel licenziamento per motivi economici sia manifesta l’insussistenza. Insomma, tutti e 10 milioni di lavoratori dipendenti saranno precari.
I dipendenti pubblici potrebbero anche pensare che tale norma riguardi soltanto i dipendenti del settore privato. Ma le cose non sono così tranquillizzanti.
Il senatore Pietro Ichino (giuslavorista con un passato nella Fiom-Cgil, poi deputato nel Pci e nel PD e adesso felicemente accasato nella lista di Monti, Scelta Civica per l’Italia) ha detto in modo chiaro ed inequivocabile che la norma del nuovo articolo 18 si applica anche ai pubblici dipendenti. Il premier Renzi si è affrettato a smentire, ma ha precisato che della questione si occuperà il Parlamento. Ovviamente la debole rassicurazione non ci lascia affatto tranquilli perché assomiglia molto a quello “stai sereno” detto qualche anno fa a Letta.
Al di là delle rassicurazioni è chiaro che i dipendenti pubblici non dormono sonni sereni. Ricordiamo che tra le amministrazioni pubbliche sono compresi gli istituti e le scuole di ogni ordine e grado (Dlgs 151/2001). Pertanto, è chiaro che anche l’Amministrazione pubblica potrà licenziare per motivi economici, riassegnando la funzione eliminata agli altri dipendenti (come dimenticare gli uffici che da anni sono sottodimensionati).
Insomma, ciò che non fu permesso al duo Fornero-Monti oggi è stato permesso a Renzi: possibilità di licenziare i dipendenti pubblici anche per motivi economici. Quindi anche per il personale della scuola si prefigura tale possibilità.
E’ stata realizzata, dunque, la “flessibilità in uscita” tanto cara alla Fornero per poter attrarre investitori stranieri. Ovviamente tale affermazione della Fornero e la sua attuazione da parte del governo Renzi è un assunto dato per certo e indimostrabile da nessuna ricerca seria, tant’è che nel 2012 Monti disse che la riforma del lavoro era importante, ma difficile da spiegare: cioè indimostrabile! Siamo, quindi, alla attuazione piena delle richieste fatte da parte della BCE (Banca Centrale Europea) al governo Berlusconi e richieste con forza dal FMI (Fondo Monetario Internazionale). La politica nazionale e le associazioni del mondo imprenditoriale si sono assoggettate alle richieste neoliberiste della finanza internazionale. Occorre, dunque, riportare l’agenda politica in Italia al fine di mettere assieme etica ed economia. Per fare ciò è necessario ripristinare le tutele dell’art.18 precedenti la riforma Renzi per tutti i lavoratori, costituire una patto tra politica, imprese e rappresentanti dei lavoratori per rimettere in discussione gli accordi di una oligarchia finanziaria che con i suoi “salvataggi” o “meccanismi di stabilità” stritola l’economia reale delle Nazioni.
 
Benito Ferrini
 
Snadir - Profesisone i.r. - 5 gennaio 2015
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