La scuola che verrà

La scuola che verrà (*)

 
All’indomani di una campagna elettorale fondata su antiche promesse e su una scarsa aderenza al principio di realtà, orientata ad attrarre principalmente l’elettore confuso dalla massa delle informazioni e dal vuoto etico e culturale di una certa demagogia forzatamente presente nel campo di sfida tra i diversi partiti, vediamo come temi di importanza strategica come istruzione, formazione e ricerca siano stati lasciati ancora una volta in un limbo impervio da cui è difficile tirarsi fuori.
 
Il clima post-elettorale, che vede la mancanza di un vincitore effettivo e di una maggioranza parlamentare minimamente coesa, non permette di avanzare ipotesi credibili su cosa potrà aspettarsi il mondo dell’istruzione nei prossimi tempi. Se proviamo a fotografare le posizioni dei due schieramenti in lizza per formare il nuovo Governo, vediamo come tra i punti in comune della coalizione del Centrodestra per cambiare la scuola ci sia quello dell’eliminazione progressiva del precariato attraverso una rivisitazione dell’attuale riforma della scuola. Per raggiungere quest’obiettivo, la Lega punterebbe su un modello tedesco che conceda alle Regioni la facoltà di gestire in maniera autonoma l’istruzione pubblica e privata, escludendo le linee generali che restano a carico dello Stato. Molto chiaro anche il punto che riguarda la posizione del Centrodestra rispetto a istruzione privata e pubblica: la coalizione preferirebbe un’istruzione mista pubblico-privata, ottenibile dando maggiori incentivi alle scuole private.
 
Per il M5S, invece, bisognerebbe riportare la scuola pubblica al centro delle politiche del Governo per renderla gratuita, democratica, aperta, inclusiva e innovativa, aumentando le risorse alla media europea del 10,2% dall’attuale 7,9% che lo Stato destina all’Istruzione. Inoltre, l’eventuale Governo a 5 Stelle intenderebbe abolire la legge sulla Buona Scuola.
 
In tale contesto, appare ancora difficile pensare di poter rinunciare del tutto al riformismo improvvisato e di facciata che ha contraddistinto l’abbondanza di riforme che ogni governo ha voluto imporre negli ultimi trent’anni con risultati disastrosi.
 
Non è possibile che il sistema di istruzione continui a essere terreno di tagli indiscriminati o di investimenti fatti male, o che diventi il banco di prova di riforme indegne che hanno imposto alla scuola un disegno privo di ogni progettualità didattica in grado di affossare in maniera determinante l’istruzione pubblica e statale.
 
Oggi più che mai, bisognerebbe prescindere dalle forze politiche in gioco, e optare per la predisposizione di un quadro complessivo di riassetto e di riorganizzazione dell’intero sistema di istruzione, che si agganci ai valori della Costituzione vigente. C’è da combattere da più parti contro un sistema obsoleto e impersonale che non valorizza la professionalità del corpo docente, e si dimentica di stimolare la sua funzione educativa, culturale, etica e sociale. Serve un progetto coerente con i bisogni del lavoro e del territorio, svincolato da ogni sorta di leva politica, che tenga conto delle esigenze reali degli insegnanti. Un piano condiviso che preveda il riconoscimento dell’educazione come impegno sociale e comune, e che offra uno sguardo attento sia ai mutamenti in atto sia ai bisogni vecchi e nuovi di tutta la società civile.
 
Non basteranno manovre becere e contentini elettorali, come quello che a pochi giorni dalle recenti elezioni ha previsto una quarantina di euro netti in più in busta paga per chi da più di dieci anni aspettava una revisione del contratto scuola. Così come non dovranno passare in secondo piano le vite familiari e i vissuti personali degli insegnanti lanciati senza rispetto da una città all’altra lungo la penisola o le condizioni dei precari della scuola, da anni vittime di profonde ingiustizie da parte dei governi che si sono succeduti.
 
Infine, il nuovo Governo che verrà dovrà risolvere in modo adeguato il problema dei precari che insegnano religione. Ad essi bisognerà applicare le procedure semplificate di assunzione che sono state attivate a seguito della legge 107/2015 e del Dl 59/2017 per i docenti di altre discipline. Inoltre, bisognerà eliminare la vecchia norma del 1929 che vieta il voto e l’esame agli insegnanti di religione, dando loro la possibilità di partecipare alla valutazione intermedia e finale come avviene per le altre discipline. Sarà poi necessario definire la classe di concorso per l’irc e la spendibilità della valutazione del servizio di religione per gli altri insegnamenti. Questo è quanto si aspettano i docenti di religione dal nuovo Governo che sia di novità rispetto a tutti i precedenti.
 
Riteniamo, quindi, auspicabile e doveroso un intervento in tal senso da parte del MIUR affinché si eliminino le storture generate dagli errori commessi in passato, e perché si possa finalmente procedere a un riordino costruttivo e didatticamente valido di tutta la normativa vigente, che passi prima di tutto per una presa di coscienza a livello istituzionale della funzione docente. Si tratta, dunque, di considerare quel complesso di competenze cognitive, affettive, sociali, tecniche, strumentali che rendono l’identità professionale dell’insegnante degna di maggiore attenzione da parte delle istituzioni.
 
 
(*) Editoriale del prof. Orazio Ruscica pubblicato su Professione i.r. 03/2018 e trasmesso in tipografia il 27 marzo 2018
 
Snadir - Professione i.r. 29 marzo 2018, h.16,32
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